In un periodo tra il I° secolo a.C. e il I° d.C. sulla Costiera Amalfitana, oltre che sulla costa sorrentina, Capri e la parte occidentale del “sinus paestanus” nacquero numerose ville di lusso, ad opera di antichi romani; ricchi liberti, patrizi e anche imperatori come nel caso della Villa di Tiberio a Capri. Queste ville spesso elette a residenza estiva, nel caso delle ville dette “maritimae” che erano accessibili solo dal mare, nate in concomitanza al traffico marittimo e quindi alla frequentazione delle coste. Altre ville meno lussuose erano presenti nell’entroterra, allo scopo di sfruttare il territorio circostante, dove da elementi archeologici si può dedurre l’esistenza di un’attività agricola. Per Vitrurio, famoso architetto contemporaneo dell’Imperatore Augusto, queste ville erano catalogate e descritte come “tipo disperso2”, in contrapposizione alle residenze denominate “tipo chiuso”, costituite cioè da singole parti distinte tra di loro e senza delimitazioni di ordine geometrico e più adattate alla natura del terreno. A secondo della conformazione dei territori costieri relativi al versante amalfitano e a quello sorrentino; il primo decisamente scosceso mentre l’altro dolcemente degradante verso il mare, hanno determinato diversi destini nelle scelte abitative, nel caso del versante amalfitano, la difficoltà di un’urbanizzazione vera e propria ha dato luogo più ad episodi sporadici di stabilizzazione, mentre sul lato sorrentino l’uomo ha potuto insediarsi con una certa continuità. Già nell’antichità, trovandosi di fronte alle numerose ville che animavano la costa amalfitana, da Capo Miseno a Punta della Campanella, da Positano a Vietri sul Mare, si aveva l’impressione di guardare uno dei paesaggi più suggestivi del Mediterraneo. La villa extraurbana, “marittina” in questo caso, rappresentava un vero e proprio status symbol del rango più agiato, prerogativa di personaggi ricchi ed appartenenti alla classe senatoria romana (le prestigiose residenze di questi ultimi erano concentrate soprattutto nel Golfo di Napoli).
Non si hanno invece notizie circa i proprietari delle grandiose ville che si stendevano digradanti verso il mare lungo la costa amalfitana, occupandone scenograficamente l’intera insenatura.
Durante i lavori di riqualificazione della piazza intitolata a Flavio Gioia avviati nel 2000, la
Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno ha dato inizio ad una campagna di prospezioni geoarcheologiche tese ad individuare le varie stratificazioni al di sotto della piazza stessa. Così, in occasione del recupero delle Cripte, sono state avviate importanti operazioni di scavo, grazie alle quali è stato possibile riportare alla luce muri di tufo intonacati ed ornati da cornici in stucco. Considerando l’ottimo stato di conservazione delle opere rinvenute, gli scavi sono stati estesi a tutte le aree disponibili. In tal modo si è arrivati ad individuare il tetto di almeno due degli ambienti appartenenti alla Villa Romana situata nell’insenatura di Positano, nello spazio che venne poi occupato dalla bellissima spiaggia del paese. Secondo il Della Corte, la Villa, ascrivibile al I° secolo a.C. ed il I° secolo d.C., sarebbe appartenuta al liberto Posides Claudi Caesaris, dal cui nome deriverebbe peraltro il toponimo Positano. All’interno della durissima piroclastide (impiegata in molti monumenti della Repubblica Amalfitana di Amalfi) sono emerse le impronte cave di grossi pali lignei, portanti del soffitto in tegole e coppi. I calchi in gesso dei pali manifestano appieno la drammacità della catastrofe che investì le ricche ville della costa amalfitana. Alcuni risultano spezzati e dislocati insieme a parti dei muri in opus reticulatum di tufo giallo. E’ stato messo parzialmente in luce un setto murario in opus reticulatum in situ, decorato da una cornice a stucco e da affreschi policromi di ottima fattura, da riferire ad un ambiente esterno, quale ad esempio un perticato. Al di sotto della cornice in stucco, sulla parte sinistra è raffigurato un ippocampo e, sulla destra, un’aquila adagiata su un globo; mentre nel riquadro centrale dell’affresco compaiono un pegaso e due amorini, questi ultimi sono di stucco e resi in rilievo. Le raffigurazioni sono inquadrate da raffinati sfondi architettonici, fra cui spiccano l’architrave classico da cui si eleva il cavalluccio marino ed il soffitto cassettonato, in un insieme animato dalla corposa e vivace gamma cromatica incentrata sul rosso “pompeiano”, sull’azzurro e sul giallo ocra.
Nei pressi dell’attuale chiesa madre di Positano ci sono i resti di una villa romana, a questa villa il rapporto del 23 aprile 1758 di Carlo Weber, addetto agli scavi di Pompei, Ercolano e Stabia all’epoca di Carlo III° di Borbone: egli, giunto il giorno 16 di quel mese a Positano, diede subito inizio allo scavo che continuò fino al giorno 20. Il Weber dice di aver osservato che al lato della chiesa con campanile, di fronte alla spiaggia che è ai piedi dei monti chiamati Santa Maria a Castelli e Sant’Angelo, alla profondità di circa 30 palmi corrispondente a m. 6,66 si trova un famoso edificio antico il cui primo mosaico di marmo bianco molto pregiato.
Weber riporta inoltre quanto gli aveva raccontato il parroco Giuseppe Veniero, che alla fine del 1600 si era scavato per un lungo periodo, rivenendo diversi reperti che erano stati venduti alle monache di Santa Teresa di Napoli e che con i ricavi fu possibile ingrandire la chiesa. Si allude al restauro della chiesa effettuato nella prima metà del Settecento, cui partecipò la famiglia Romito.
A quanto il Weber descrive è ancora visibile grosso modo, e ciò appare davvero notevole: discostandosi dalla chiesa vide infatti dei piccoli ambienti con pareti dipinte ma il cui intonaco era per la maggior parte caduto perché in cattive condizioni, e ancora due grandi colonne in laterizio, ricoperto di intonaco rosso vivo, ai lati di un condotto d’acqua e, successivamente, un altro condotto simile al primo, con colonne in mattoni intonacate di bianco. Il Weber poté anche osservare un giardino a pianta quadrangolare, il cui lato maggiore era quasi 44.40 metri, circondato da un corridoio con pilastri intonacati e, al centro, una vasca con condotto di scarico.
I dati riportati hanno trovato riscontro nel fatto che la Soprintendenza di Napoli negli anni Venti poté constatare allorché un macellaio, un certo Imperati, effettuando dei lavori nella parte del retro della sua bottega attigua alla piazzetta Regina Giovanna, nel Vallone di Fiume, ai piedi della scala della chiesa, si imbatté proprio nei resti della villa romana.
I lavori, condotti per ricavare una grotta idonea a mantenere fresca la carne macellata, prevedevano l’estrazione del lapillo, operazione che, una volta effettuata, creò un vuoto alto da m. 1,5 a 2.
L’intervento non provocò danni sia perché fu tempestivamente fermato sia per la presenza di una vigna sul banco tufaceo.
Questo banco di circa 8 metri di tufo grigio, abbastanza compatto, con un metro di humus soprastante, è il risultato della terribile colata fangosa formata da ceneri, miste a terreno, con l’acqua delle piogge torrenziali di tipo alluvionale. Della costituzione di questo banco tufaceo parla Maiuri: la villa romana di Positano sarebbe stata ricoperta prima dalla coltre di lapillo dell’eruzione pliniana del 79 a.C., alta poco più di mezzo metro, e successivamente da diversi metri di materiale vulcanico portato giù dai monti circostanti del paese in seguito alle piogge a breve distanza di tempo dal processo eruttivo.
Dal rilievo promosso dal
Mingazzini si vide l’esistenza di un peristilio con colonne laterizie stuccate, le cui basi erano chiuse da un muretto basso e continuo, pluteo, riempito probabilmente di terra all’interno per piantarci dei fiori. Di questo peristilio era visibile l’angolo Nord/Est con cinque colonne e poteva costituire l’ingresso alla villa dalla parte del quartiere marittimo. A Nord si estendeva un lungo criptoportico, visibile per tre lati, dei quali solo uno dell’originaria lunghezza di 32 metri, parte in opus incertum, arieggiante al pseudo reticolato: poteva essere l’ambulacro esterno di un secondo peristilio oppure il piano inferiore di un loggiato superiore.
In base al modello della struttura, si può dedurre che almeno una parte della villa possa risalire al I° secolo a.C. e come infatti Mingazzini sostiene che si tratta di una costruzione dell’epoca repubblicana; secondo altri ci troveremmo di fronte ad una villa del consueto tipo vesuviano di età giulio-claudia, distrutta nell’eruzione del 79 d.C. Per Maiuri invece non si hanno sufficienti elementi per far risalire alcune strutture ad età repubblicana; più prudente è ammettere che ci troviamo innanzi a una villa del consueto tipo vesuviano dell’età giulio-claudia, sottoposta alle stesse vicende di seppellimento di Ercolano, Stabia e Pompei" ( Maiuri 1954, p. 94 ).
Alla stessa datazione giunse per un altra via il Della Corte, il quale sostenne che il nome di Positano deve ricondursi al nome di Posides Claudi Caseris libertus e ad un suo praedium posidetanum ( Della Corte 1936 e 1937). Di tale Posides parlano sia Svetonio, che Giovenale e Plinio: il primo, storico vissuto tra il 75 e il 160 d.C., nella sua opera Le vite dei Cesari, a proposito dell’imperatore Claudio, dice che quest’ultimo"libertorum praecipue suspexit Posiden spadonem, quem etiam Britannico triumpho inter militares viros hasta pura donavit. Dei liberti predilisse l’eunuco Posides a cui, dopo il trionfo riportato sui Britanni, tra i militari al suo seguito, conferì “l’asta pura", e cioè un’asta senza punta di ferro che si dava come distintivo d’onore ai soldati che si erano distinti in battaglia. La testimonianza di Sventonio fa vedere questo greculo Posides che entra nelle grazie dell’imperatore Claudio ed eccelle nell’attività militare. Ma la satira XIV° di Giovenale, poeta satirico nato tra il 50 a.C. e il 60 e morto dopo il 127 d.C., arricchisce il quadro della personalità di questo liberto favorito di Claudio come di un uomo che come Cetronio, fu dominato dalla mania di costruire numerose sontuose ville, al punto che "Spado vicebat copitolia nostra Posides". Mentre la testimonianza della Naturalis Historia (libro 31,2) di Plinio il Vecchio, circoscrive la zona in cui Posides diede sfogo alla sua attività edilizia. Il sinus Puteolanus e precisamente Baia. Rivendicata alla Campania una parte considerevole delle attività di questo favorito imperiale, è possibile, sostiene il Della Corte, che sia esistito a Positano un praedium posidetanum che, per aploosi della sillaba atona de, divanta Positanum. Questo collegamento del nome di Positano con uin Praedium posidetanum apparve abbastanza probabile a Mario Napoli che, come Maiuri, considerava la villa ispirata al tipo di quelle vesuviane.
Tra tutte le ipotesi sull’origine del nome Positano, quella del Della Corte resta l’unica più plausibile. I toponomi a base onomastica latina (ricordo, nella zona ad alta concentrazione di Tramonti, Cesarano, Grisignano, Vitagliano, Capitignano, Corsano) sono ricordo di Praedia; è da citare a tal proposito Tordigliano, spiaggia situata dopo Punta Germano (o Jermano).
Sopra la villa di Positano, in tarda epoca medievale fu edificata un’abbazia alla quale potrebbe appartenere la lastra di marmo riportante la pistrice collocata attualmente sopra il portone del campanile della Chiesa Madre. Mentre per la vita dell'abbazia si rinvia al lavoro della Di Giacomo, in particolare per le vicende legate alla Chiesa Madre (Di Giacomo 1986), resta tutta da scoprire invece la sequenza storica che va dal tardo medioevo fino all’età moderna. Segnalo qui solo la suggestione di espressioni come "in mezzo alla terra", allusiva ad una Chora, come ancora localmente si denomina la zona della chiesa di Santa Maria delle Grazie (o Chiesa Nuova),o di strutture come il mulino ad acqua che tuttora sta in piedi presso la Valle dei Mulini.
Si possono ammirare diversi reperti provenienti dalla
villa, come ad esempio le paraste e le colonne
distribuite nell’area prospiciente l’arenile, così anche
come il dolio sistemato sul retro del famoso locale
"Buca di Bacco" adiacente allo stabilimento balneare
l’Incanto, e ancora una base di labrum al centro del
piazzale davanti alla scala con i leoni, sulla spiaggia
grande. Due grandi frammenti architettonici decorati,
anche di epoca romana, sovrapposti, costituiscono invece
la base della croce in ferro appena all’uscita della
chiesa del Rosario in piazza dei Mulini, dove si
conserva una grande lastra frammentaria di un sarcofago
romano (cf. Sabella 1997) (FOTO CROCE DI FERRO DEI
MULINI) che cronologicamente non può essere messa in
relazione con la villa, ma che potrebbe ricondursi
nell’ambito dei commerci avvenuti in epoca medievale
collegati alle reliquie dei santi, tema accuratamente
esaminato da Daniele Manacorda che ricorda anche le due
urna cinerarie romane conservate come acquqsantiere
nella chiesa “ Chiesa nuova” e in quella di San Giovanni
Battista ( Bracco 1977, Manacorda 1980). È da menzionare
inoltre, tra le lastre iscritte e figurate murate sul
fianco della Chiesa Madre in via Rampa Teglia, un
piccolo frammento che presenta metà di una tabula
ansata, tipica dell’epoca flavia. Secondo alcune
antiche testimonianze degli antichi positanesi,
esistevano diverse ville, ognuna collocata in diversi
posti della Spiaggia Grande; la Villa Incanto collocata
sull'attuale scogliera Incanto e un altra presso
l'attuale molo. Inoltre fino ad un secolo fa circa,
quando la spiaggia non era ancora così estesa si
potevano scorgere delle colonne che spuntavano dalla
sabbia all'incirca dove ore sorgono gli stabilimenti, ed
erano utilizzate dai pescatori locali per ormeggiare le
loro barche. Una leggenda locale, vuole che la Chiesa
Madre sia stata costruita con l'aiuto divino della
Madonna: anticamente la costruzione della Chiesa ad un
certo punto si fermò perchè finì il materiale, e così
dopo una violenta notte di mareggiata, al mattino
miracolosamente apparvero sulla spiaggia numerosi
materiali in marmo con il quale fu possibile utilizzarlo
per terminare i lavori della chiesa. Evidentemente la
leggenda ha un fondo di verità che per la costruzione
della Chiesa Madre siano stati utilizzati materiali
originariamente componenti dell'antica villa romana, che
vennero alla luce dopo che occasionalmente una
mareggiata portò via la sabbia, lasciando scoperti i
resti di un'antica villa, presente presso il mare.
VILLA DELL'ISOLA DEI GALLI:
La villa che si trova sull’Isola dei Galli, sulla parte più grande del piccolo arcipelago detta “Gallo Lungo” ormai non è più visibile quasi nulla, poiché sopra la parte principale della struttura vi è stata costruita la moderna villa verso il 1924 dal famoso coreografo russo Leonide Massine. Dalla pianta riportata negli anni 1940 da Mingazzini e Pfister nella “Forma Italie”, si può notare come erano presenti gli elementi classici della villa del tipo “maritimae”, composta dalla “domus” e lo “xjstus” quartiere marittimo.
La domus era situata su una delle due sommità dell’isola dove le asperità furono spianate per creare un terrazzo, a est della quale sorgeva la casa. (FOTO PIANTA VILLA) Ai due lati della casa si estendeva un giardino porticato che dava al complesso un aspetto compatto e cioè lo xjstus, termine che voleva dire “spazio coperto”, in genere un portico che, serviva per le esercitazioni di corsa nelle palestre nei giorni di cattivo tempo. Nelle ville è indicato un portico collegato al giardino o viridarium che coincideva con l’ambulatio per la passeggiata igienica.
Il quartiere marittimo, situato laddove la costa forma dal lato Sud/Ovest una profonda insenatura, consisteva in un piccolo porticciolo, di cui è ancora visibile sul fondo l’attracco con sette blocchi equidistanti. La caduta di grossi massi, in epoca imprecisata, venuti giù dall’alto dell’isoletta non ha potuto permettere di conoscere il collegamento tra la casa e l’approdo principale; probabilmente infatti, dal lato opposta dell’isola, ci doveva essere un altro approdo per i giorni in cui il vento non favoriva l’attracco da lato Sud/Ovest.
Interessante è la presenza, a metà strada tra la casa e il porticciuolo, dei resti di servi, probabilmente una sorta di portineria.
Il parametro murario, laddove si è conservato, è in opus reticulatum, tecnica di costruzione avvenuta nell’Antica Roma nella prima metà del I sec. d.C., anche in considerazione dell’intero complesso della villa.
Delle altre due isolette dei Galli, entrambe ad ovest del Gallo Lungo, la Rotonda non sembra essere stata interessata da costruzioni antiche; l’isola dei Briganti o Castelluccio presenta invece un ampia strada tagliata nella roccia, larga 4 metri., interrotta bruscamente da una frana dopo un breve tratto lineare e piano di circa sessanta metri. Si snoda proprio in corrispondenza sell’approdo del Gallo Lungo e potrebbe essere stata in relazione con la domus: in questo caso allora conduceva o ad un belvedere o forse ad un faro.
Mingazzini o Pfister avanzarono anche un alta ipotesi, e cioè che si trattasse cioè di una strada militare che conduceva ad un torre di guardia; sulla base di questa utilizzazione a carattere stategico, la datarono all’epoca delle guerre di Giustiniano (527- 567 d. C.) contro i Vandali.
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